L’Europa cerca l’unità e vuole la pace

Mentre il governo degli Stati Uniti sta ultimando i preparativi di una guerra, giá decisa unilateralmente senza attendere una decisione delle Nazioni Unite, l’Europa per la prima volta cerca di parlare con una sola voce e di far pesare uno sforzo unitario per la pace nelle sedi diplomatiche e internazionali. E lo sforzo messo in campo dall’Unione, trainato dalla forte volontà di alcuni Paesi, è stato ed é forte. Forte al punto di rappresentare per la prima volta, dal dopoguerra ad oggi, un ostacolo per gli Stati Uniti. Un ostacolo con il quale gli USA sono stati e sono tuttora costretti, loro malgrado, a confrontarsi.

Chiunque faccia lo sforzo di ricordare lo scenario del 1991, alla vigilia dello scoppio della Guerra nel Golfo, non troverà traccia di un dibattito sul ruolo dell’Europa, né sfogliando i giornali di quel periodo potrà trovare notizie di una posizione comune di gruppi di Paesi europei nel dibattito sull’opportunità di quella guerra.

A distanza di oltre dieci anni l’Unione europea è avanzata sulla via dell’integrazione economica e, nonostante le difficoltà, ha acquisito, di fatto, se non ancora formalmente, un rilevante peso politico. Ora, mentre la Convenzione sul futuro dell’Europa sta scrivendo un progetto di costituzione che prevede poteri più incisivi dell’Unione in materia di politica estera e di sicurezza, l’Europa ha deciso di tentare la via dell’unità nel quadro diplomatico di una difficilissima crisi e nel contesto mutato, rispetto al ‘91, di un mondo marcatamente unipolare.

Ecco, allora, che Francia e Germania hanno deciso di prendere l’iniziativa e lanciare, simbolicamente nell’anniversario della firma del trattato di pace di Versailles, un forte messaggio a sostegno del processo di integrazione europeo e della ricerca di soluzioni pacifiche alla crisi irachena.

A seguito dell’iniziativa francese e tedesca, le divisioni tra i Paesi membri si sono subito evidenziate: mentre Francia, Germania, Belgio, Austria, Grecia e il presidente della Commissione, Romano Prodi si sono schierati contro la guerra e per una soluzione diplomatica della crisi, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Danimarca e Olanda hanno espresso posizioni più vicine a quelle degli Stati Uniti, sostenendo l’opportunità dell’uso della forza. Indecisi alcuni altri membri, tra cui Svezia Finlandia e Portogallo. Il percorso verso una posizione comune dei 15 si é quindi rivelato da subito come problematico.

Nonostante questo, i Ministri degli esteri dei 15 Paesi membri riuniti a Bruxelles il 27 gennaio sono riusciti ad esprimere una posizione comune su questi punti principali: disarmo dell’Iraq, richiesta di cooperazione di Baghdad con gli ispettori, necessità di assegnare più tempo all’indagine e garantire all’ONU tutte le informazioni disponibili, comprese quelle in possesso dei governi occidentali.

Il 29 gennaio, poi, Javier Solana, Alto Rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza ha riferito al Parlamento sugli sviluppi della crisi e l’azione dell’Unione, ribadendo che una soluzione negoziale è possibile, che la guerra non è l’unico ma l’ultimo strumento a disposizione, che gli ispettori hanno bisogno di più tempo e più strumenti per compiere il loro lavoro, in attuazione della risoluzione 1441 del Consiglio di sicurezza ONU e, soprattutto, che ogni decisione sulle misure da prendere spetta alle Nazioni Unite e a nessun altro.

Dopo questo intervento a sostegno di un ruolo forte ed unitario dell’Unione per una soluzione di pace della crisi irachena, si è subito verificato un altro “incidente”.

Proprio ieri (il 30 gennaio, N.d.R.), infatti, i leader di otto Paesi europei (Italia, Spagna, Danimarca, Portogallo, oltre a Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia) firmavano una lettera di sostegno agli Stati Uniti di George Bush sollecitata da ambienti americani. Questo senza nemmeno informare la Grecia, presidente di turno dell’Unione, ed in barba alla dichiarazione comune, di cui si è detto, firmata da tutti i ministri degli esteri dei 15 solo tre giorni prima. Nonostante questo, peró, il 30 gennaio, proprio mentre la “banda degli 8” (così l’agenzia di stampa tedesca Reuters ha definito gli otto premier, tra cui Silvio Berlusconi) firmava la lettera di sostegno agli Stati Uniti, il Parlamento Europeo, a larga maggioranza, ha approvato una risoluzione sulla situazione in Iraq nella quale si afferma, tra l’altro, che le violazioni della risoluzione 1441 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU “non giustificano l’azione militare”. Un pronunciamento molto importante e un forte sostegno all’azione dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Javier Solana, che accoglie il documento unanime approvato lunedì scorso dai ministri degli Esteri dell’Unione e che affida alle Nazioni Unite ogni decisione sugli sviluppi della crisi.

Il documento del Parlamento sostiene l’attività degli ispettori, ribadisce l’importanza del totale smantellamento, sotto controllo internazionale, delle armi di distruzione di massa e invita alla piena cooperazione il regime di Baghdad. Nello stesso tempo, il Parlamento si oppone ad un’azione militare unilaterale e afferma che “un attacco preventivo non sarebbe conforme al diritto internazionale”.

Il voto sulla risoluzione ha messo in minoranza il centro-destra europeo e ha evidenziato la contraddizione del gruppo del PPE che, con il capogruppo Pöttering, aveva sottoscritto il testo di compromesso insieme al PSE e ai Liberali. Il PPE, e i parlamentari italiani di Forza Italia, alla fine, hanno votato contro l’intero documento.

La risoluzione del Parlamento rappresenta dunque una netta presa di distanza dalla dichiarazione di sostegno agli USA degli otto capi di governo europei (tra cui appunto Berlusconi), improntata ad uno spirito di divisione dell’Europa sulla grave crisi internazionale.

I deputati italiani del centro sinistra hanno sostenuto, con il loro voto, la posizione della grande maggioranza del Parlamento Europeo per esplorare tutte le vie politiche e diplomatiche per giungere ad una soluzione pacifica del conflitto. Si tratta di una linea chiara che contrasta fortemente con l’atteggiamento preoccupante assunto dal governo Berlusconi che si appresta, tra l’altro, a guidare l’UE nel prossimo semestre. È infatti triste che il nostro Paese, tra i fondatori della Comunità e sempre di forte impulso per l’avanzamento dell’integrazione europea, si trovi oggi tra quelli che minano l’unità dell’Europa e il suo rafforzamento, preferendo un’alleanza con gli Stati Uniti di George Bush a sostegno di una guerra.

In conclusione, malgrado le difficoltà, l’Unione sta cercando faticosamente una unità, con accelerazioni e frenate, avanzamenti e arretramenti improvvisi. Ma qualunque sia l’esito finale di questa crisi, essa si avvia ad essere da ora in poi un interlocutore pesante sulla scena mondiale di cui, volenti o nolenti, non si potrà fare a meno.