Andrea Moretti ci parla del suo romanzo, che prende spunto dall’eccidio della Righetta

Per un ragazzo reggiano che ha avuto nonni nati tra il 1909 e il 1925, le storie di lotta partigiana sono nel DNA, legate ai racconti dei vecchi nelle sere d’estate, prima di dormire. Tedeschi e partigiani sono stati i primi soggetti che hanno fondato le basi del mio immaginario narrativo, così come i film di Leone, o le gare rocambolesche in macchina di Gilles Villeneuve. Mia nonna Anna, che nel 1945 era incinta di mio padre, abitava vicino ad un Comando tedesco. Quante volte mi ha raccontato delle notti in cui le venivano in casa i giovani soldati tedeschi per bere un bicchiere di vino, ritrovando la dimensione di una casa almeno per qualche ora, mentre a pochi passi, nel fienile, stavano nascosti i partigiani. Erano ore di tensione, di paura vera. Così come lo era per me ascoltare quelle storie, mezze in italiano, mezze in dialetto, mentre lo zampirone buttava nell’aria il suo fumo repellente.

25Poi, ai tempi delle scuole medie, sul finire degli anni Ottanta, il professore di storia nel mese di aprile ci portava in Municipio ad ascoltare i racconti dei partigiani, che a noi sembravano così vecchi, così distanti da come li avevamo immaginati, eppure ci appassionavano con aneddoti di orgoglio e coraggio, storie d’azione, di vita e di morte.
Negli anni dell’adolescenza, della prima occupazione alle scuole superiori a Correggio, ci sono stati infine i dischi dei Led Zeppelin, i Doors, i film sul Vietnam. Nuovi miti, nuovi eroi, suggeriti da alcuni professori o magari da uno zio, che quegli anni li aveva vissuti. E allora avanti con gli slogan della contestazione studentesca, del ’68 e del ’77, che a noi, sui diciott’anni a metà degli anni Novanta, hanno fornito le basi culturali per dire la nostra, nella scuola e in famiglia.
“Preoccupati dei vivi” l’ho voluto ambientare su due piani temporali, distanti la mia età l’uno dall’altro ma per certi versi simili. Nel ’45 alcuni ragazzi sui vent’anni sposarono un’idea, e rischiarono la propria vita nascondendosi nei fienili, sparando ai tedeschi e alle camicie nere. Trent’anni dopo, altri ventenni, figli dei primi, occupavano le piazze, a volte in modo pacifico, altre in modo violento, con le armi, sparando contro la Polizia. Queste due generazioni hanno vissuto momenti storici importanti per la storia italiana e mondiale, hanno avuto di fronte a sé sfide che la mia generazione non ha avuto; sono stati costretti a scegliere una posizione, un’idea, a darsi da fare per quella, talvolta anche in modo discutibile, perché il non scegliere avrebbe significato porsi dalla parte del nemico.
Ho voluto raccontare una storia ai tempi della lotta partigiana che si proietta negli anni della lotta armata, perché, probabilmente, quando l’uomo lotta mette a nudo più che in periodi di pace la propria natura, le proprie passioni, nel bene e nel male.
L’eccidio della Righetta, al quale il libro si ispira, consumato all’alba del 15 Aprile 1945, è per Rolo storia e leggenda. Aldilà di quanto è stato scritto (poco) dagli storici locali, e di quanto si conserva negli archivi (ancora meno), per tanti versi rimane un mistero. Sono tante le voci che si accavallano e tante le versioni di quella notte che sopravvivono nei racconti popolari. Alla versione dei fatti spesso si associa una personale visione politica di chi racconta, così come personalismi e ipotesi non documentabili.
Dopo aver sentito tante voci e letto tante pagine su quella notte, sono giunto alla conclusione che per poter trattare la questione senza gli stretti vincoli storiografici, l’unico canone possibile rimaneva quello narrativo. Ne è uscito un romanzo che fonda le sue radici su un fatto di cronaca di oltre sessant’anni fa, ma poi se ne allontana, esplorando altri sentieri, sviscerando ciò che la storia spesso non racconta, ovvero le passioni e i sentimenti che condizionano certe scelte.
La storia di Omero Tasselli si propone come paradigma di un’intera generazione di giovani, che dopo l’armistizio sono stati costretti, talvolta senza una reale coscienza politica, a scegliere in che direzione lottare, a cui la storia, anni dopo, ha imposto il confronto con altri giovani con una coscienza politica ben più netta, ma a volte sinistra.

Andrea Moretti