Dopo l’avvio dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”

Sai dirmi, Socrate, se la virtù si possa insegnare? O se non la si possa insegnare, ma s’acquisti con la pratica? O se né s’acquisti con la pratica né si possa insegnare, ma venga negli uomini da natura o in qualche altro modo?” (Platone, Menone)

In considerazione dell’avvio della sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” (Miur, L. 169/2008) e a fronte delle preoccupazioni, del dibattito e delle polemiche che le contraddittorie dichiarazioni ministeriali hanno sollevato, il cuore del problema appare questo: non se la democrazia si possa insegnare, ma se è insegnabile la virtù politica, se si possa cioè insegnare ad essere democratici, ad assumere quindi l’abito mentale della democrazia come virtù introiettata e da tradurre in pratica esistenziale.
Pensare al patto costituzionale come universo normativo che stabilisce ciò che è “bene” comune per tutti e per ciascuno, comporta allora agevolare e promuovere nella scuola percorsi di adesione alla democrazia: un problema certo di portata eccezionale, che richiede impegno intellettuale per progettare e sperimentare, oltre alla disponibilità di mezzi per sostenerne la realizzazione.
A ben guardare ciò che il Ministero ha autorizzato con la legge 169/08 appare invece una soluzione sbrigativa, sottodimensionata rispetto alle prospettive epocali che hanno rimesso al centro del dibattito mondiale l’educazione civile alle norme: solo un percorso sperimentale, inserito nell’area storico-geografica-sociale, senza ore aggiuntive, come ad invertire il processo di adeguamento al mondo e reintrodurre una nostalgica convivenza ordinata e rassicurante. E inoltre, come se le scuole in questi ultimi anni non avessero prodotto esperienze e percorsi significativi, talvolta eccellenti, sul tema della Costituzione e su quello dei diritti/doveri che da essa originano.
Come ripensare all’educazione per una cittadinanza attiva e consapevole?
Innanzitutto occorre a nostro avviso riconoscere all’educazione civile l’aspetto specifico della trasmissione alle giovani generazioni dei valori costituzionali- democratici, individuando specifiche modalità e opportune attivazioni.
Questo significa evitare l’enunciazione dogmatica e predicatoria di regole che, sappiamo, non possono essere comunicate con lezioni o con dichiarazioni esortative, in un contesto fra l’altro in cui sempre più frequentemente bambini e ragazzi esprimono atteggiamenti anomici, derivati dai messaggi fortemente contraddittori recepiti nel vissuto quotidiano.
Al contrario, i valori possono essere comunicati nella condivisione di comportamenti solidali e cooperativi da acquisire concretamente nella vita della classe, della scuola, del territorio e da consapevolizzare in uno spazio di conoscenza riflessiva e dialettica.
E’ la cura quantitativa e qualitativa delle parole, l’abitudine alla convivenza basata sul dialogo, l’educazione all’attitudine mentale al ragionamento e al dubbio che rendono i ragazzi capaci di problematizzare e impiegare il pensiero critico che contrasti l’omologazione del pensiero unico.
Ed è parallelamente con la testimonianza di democrazia che si insegna democrazia: la scuola, le Istituzioni comunicano i valori costituzionali solo se riescono ad essere democratici.
Riconoscere allora la differenza come sfida al concetto inclusivo di cittadinanza e come principio culturale e trasversale al concetto stesso di umanità è uno fra i più alti principi di morale laica sanciti dalla nostra Costituzione, sul quale la scuola può promuovere proficue occasioni di ragionamento e di discussione.
Occasioni non compatibili con l’analisi letterale e precoce del testo costituzionale o con un approccio dogmatico, derivato da un insegnamento di nozioni posticce da verificare e valutare, così come sembra delinearsi con l’introduzione di questa nuova disciplina.
Non è un caso che nell’orizzonte della proposta ministeriale le si attribuisca un monte ore ricavato dal comparto geo-storia, a sua volta già decurtato, con il risultato di sminuire la portata delle tre materie e di contraddire l’assunto espresso nel Documento di indirizzo di raccogliere le “buone pratiche” per tenerne conto nella formulazione delle legge che porterebbe a regime la nuova materia nel curricolo.
Sembra, al contrario, che una buona pratica dovrebbe valorizzare discipline e progettualità, sostenendole con risorse e strategie capaci di promuovere innovazione e funzionali alla formazione e al coinvolgimento attivo dell’utenza scolastica.
Il Parlamento europeo ha già da tempo sollecitato gli Stati membri a promuovere l’educazione alla cittadinanza democratica: essa dovrebbe essere al centro delle riforme e dell’attuazione delle politiche dell’istruzione nei Paesi dell’Unione.
La raccomandazione suggerisce di promuovere approcci multidisciplinari che coinvolgano le discipline storiche, filosofiche, giuridiche e che consentano l’acquisizione di competenze sociali e politiche, suggerisce insomma di investire nella scuola, dal momento che solo un alto livello di istruzione può garantire anche un maggiore sviluppo economico.
Non sembra questa la direzione intrapresa dal nostro Ministero.

Prof.ssa Giulia Ricci
Responsabile didattica
Istituto storico di Modena