tiziaNessuno potrà dire che la volontà dei cittadini europei non sia stata visibile, forte e chiara: centinaia di migliaia di persone hanno riempito strade e piazze d’Europa manifestando per la pace, per un mondo multipolare, per il rispetto del diritto internazionale e del ruolo delle Nazioni Unite.
Valori e principi comuni hanno unito persone diverse in ogni angolo del nostro continente, gli stessi valori e gli stessi principi contenuti in gran parte delle nostre Costituzioni e carte fondamentali.
E chissà che una politica estera comune dell’Europa non stia nascendo proprio nel mezzo di questa drammatica crisi, per volontà dei suoi cittadini, malgrado alcuni dei suoi governi.
L’Unione europea si è spaccata di fronte alla scelta della guerra. Senza passare per il Consiglio europeo, Italia, Gran Bretagna, Spagna, Olanda e Portogallo hanno comunicato per lettera agli altri Stati membri dell’Unione il loro sostegno alla scelta americana della guerra preventiva, impedendo all’Europa di trovare una posizione comune.
Silvio Berlusconi, come sempre improvvidamente, ha addossato a Francia e Germania la responsabilità di questa spaccatura dell’Unione europea, ma occorre ricordare che nemmeno l’Italia si è preoccupata, prima di firmare la lettera di sostegno a Bush, di cercare il sostegno di Chirac e Schroeder su un testo comune.
Questo perché la lettera di appoggio agli USA, firmata anche dall’Italia (unico fra i Paesi fondatori della Comunità), aveva proprio lo scopo di impedire una posizione comune dell’Unione e di contrastare la posizione di Francia e Germania al suo interno.
In questo quadro, non rimaneva scelta: Francia e Germania ( e, con loro Grecia, Belgio e Lussemburgo) hanno sostenuto coerentemente la linea del rispetto del diritto internazionale mentre l’ONU e l’Europa ne hanno pagato il prezzo.
D’altra parte, adottando la risoluzione proposta dagli Stati Uniti e sancendo la legalità della dottrina Bush della guerra preventiva, l’ONU avrebbe pagato il prezzo ancora più alto di una definitiva e irreparabile delegittimazione.
Tuttavia, come ha scritto di recente Michel Rocard, gli elementi minimi di una posizione diplomatica comune dell’Europa erano presenti sin dall’inizio e nemmeno la lettera degli otto li aveva contraddetti: la necessità di una deliberazione dell’ONU, il carattere criminale del regime di Saddam Hussein, la necessità di mantenere una pressione fino al disarmo totale dell’Iraq. Se ci fosse stata la volontà politica di tutti gli Stati membri, l’Unione avrebbe potuto parlare a una sola voce.
Ma tant’è. Proprio mentre l’Unione europea sta tentando di darsi una Costituzione e, con essa, finalmente, una politica estera e di difesa comune, davanti alla crisi irachena essa ha perso un’occasione importante e si è spaccata profondamente.
Nonostante questo, sarebbe sbagliato pensare che tutto è perduto. La sfida é ancora aperta. La crisi irachena, purtroppo, è lungi dall’essere conclusa: l’Unione può e deve ritrovare l’unità al proprio interno per proporre una soluzione politica e fermare la guerra.
Rimangono drammaticamente aperti molti problemi, alcuni aggravati e altri direttamente causati dallo scoppio della guerra: il ruolo e l’autorevolezza delle Nazioni Unite, la destabilizzazione di tutta l’area Mediorientale, il conflitto fra Israele e Palestina, il soccorso alle popolazioni, la ricostruzione e la transizione in Iraq, la lotta al terrorismo.
L’Unione europea ha gli strumenti per avanzare proposte forti su queste questioni e per proporsi come attore politico unitario sulla scena mondiale, in un ruolo di delicata mediazione, che gli USA in questa fase non possono esercitare, e in un quadro multipolare.
La responsabilità di accettare o respingere questa sfida spetta ai 15 governi degli Stati membri e, fra gli altri, al governo italiano, che assumerà in luglio la presidenza dell’Unione europea e che, sino ad ora, ha purtroppo rinfocolato le divisioni invece di ricercare l’unità.
Di sicuro, per i 15 governi dell’Unione, è l’ultima occasione per dimostrarsi all’altezza delle aspettative che i loro cittadini e, tra essi, moltissimi giovani, a centinaia di migliaia, manifestando nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro hanno riposto in loro e, per la prima volta, nell’Europa come attore globale portatore di pace e di sviluppo.