Nata da una famiglia operaia della Madonnina, Gabriella Rossi cresce in un ambiente caratterizzato dall’antifascismo duro e militante di uomini come Abelardo Del Monte, Ercole Campana, Elio Carrarini che hanno subito carcere e confino.
E’ a loro accomunata da ideali di giustizia e di libertà, ma soprattutto dall’odio per la guerra e la violenza.
Le sue prime azioni da “partigiana” consistono infatti nell’aiutare i soldati a fuggire l’8 settembre 1943, ma poi, si rende subito conto che questo contributo non è sufficiente, che la gente deve “sapere” e che occorre, fare di tutto per suscitare una generale avversione alla guerra fascista.
Così, insieme ad altre amiche, scrive biglietti, prepara volantini che poi semina, di notte, lungo le strade.
Già nei primi mesi del 1944 inizia la sua partecipazione a livello organizzativo della Resistenza: nelle SAP, nei Gruppi Difesa della Donna, nella Federazione Giovanile Comunista, accanto al giovanissimo Sandro Cabassi, un suo eroe del quale rivendicherà sempre orgogliosamente il ricordo.
A questa attività dedica tutta la grande carica di passionalità della quale è dotata, Gabriella partigiana, dunque, ma soprattutto “comunista” perché quello che fa di lei una persona, per me, speciale, è di avere un rapporto vero, intenso con la gente semplice.
Nel 1946, in occasione delle consultazioni per la Costituente, il Partito comunista la indica come unica modenese da votare in una lista capeggiata da Teresa Noce perché comprende appieno il valore politico di questa sua peculiarità.
Non viene eletta, ma poi successivamente, in rapida successione di tempo, ricopre incarichi come dirigente femminile della federazione modenese del PCI e dell’UDI, della Federazione Giovanile, del Comitato di Solidarietà democratica.
Finalmente, nel 1951 realizza una sua aspirazione. Eletta nel Consiglio comunale, le viene assegnato l’assessorato alla assistenza ed ha così modo di entrare direttamente a contatto con i concreti problemi delle categoria più disagiate.
Ma le esigenze del partito hanno il sopravvento e lei è chiamata a dirigere la commissione femminile provinciale.
Accetta controvoglia, ma ubbidisce, come sempre. Ci rimane per tre anni, poi, finalmente, nel 1956è di nuovo destinata a reggere l’assessorato alla assistenza del Comune.
Nel 1960 però c’è un avvicendamento in comune, cessa la gestione Corassori, la giunta si dimette e anche Gabriella deve abbandonare il suo assessorato.
Questa volta reagisce a quella che le appare una ingiusta decisione politica, ma viene allontanata da ogni incarico.
Lavora per tre anni come commessa in un magazzino tessile della Alleanza cooperativa, poi viene chiamata all’ANPI dove rimane fino all’età della pensione, in attesa di una redifinizione di ruolo che le sia più congeniale e che tenga conto delle sue passate esperienze amministrative.
Intanto però, anche all’Anpi fa valere le sue capacità di dirigente. Organizza convegni, manifestazioni, iniziative, va a parlare ovunque, nelle piazze affollate e nelle scuole, intesse una fitta rete di rapporti con persone di tutte le età e di tutti gli strati sociali.
È stanca, ammalata, la vita non le ha risparmiato nessun dolore, nessuna amara delusione, non si concede una sosta e a chi, come me, cerca di convincerla a rallentare il ritmo risponde con orgoglio e con asprezza: “Non posso, mi cercano, devo andare!”.
Sta tutta qui ormai la sua più importante ragione di vita, in questo cordone ombelicale che la lega alla gente di tutti i giorni e che sarà infatti reciso solo dalla morte, avvenuta a Modena il 18 agosto 1992, all’età di 71 anni..