tiziaCorrispondenza da Bruxelles di Fabrizia Panzetti
Se non ora quando? Questa domanda potrebbe sintetizzare la sfida che sta di fronte all’Unione europea in questa fase storica. A undici anni di distanza dalla Guerra del Golfo venti di guerra tornano a soffiare sull’Iraq in un contesto internazionale profondamente mutato, in cui gli Stati Uniti di George W. Bush sembrano avere occupato, senza sforzi eccessivi, lo spazio necessario per decidere, secondo la propria dottrina, delle sorti del mondo. Sembra non esistere al momento nessuna potenza globale in grado di bilanciare l’enorme potere economico, militare, finanziario che detengono attualmente gli Stati Uniti.
L’Unione europea ha accresciuto i propri poteri e le proprie competenze; soprattutto in campo economico e finanziario, ha vinto in questi anni importanti battaglie quando ha saputo e potuto parlare con una sola voce in sedi quali l’Organizzazione Mondiale per il Commercio.
Ma parlare con una sola voce ancora non le è possibile nel campo della politica estera e di difesa, nel quale i governi gelosamente rifiutano di cedere una parte della loro competenza esclusiva e ancora non esiste consenso tra gli Stati membri sulla creazione di una forza di reazione rapida, che permetterebbe all’Europa di far sentire la propria presenza nelle situazioni di crisi per preservare e mantenere la pace.
Responsabili di questo stallo e di questo vuoto politico in una fase cosi rilevante sono quindi i governi in carica dei 15, poiché ancora oggi è ai governi che spetta ogni decisione che riguardi la politica estera e di difesa: all’Unione sono state cedute solo competenze parziali.
Il risultato di questa scelta è, ancora una volta, evidente a tutti i cittadini.
Durante la riunione informale del Consiglio europeo, che si è tenuta recentemente a Elsinore in Danimarca, i ministri degli Esteri dei 15 non sono riusciti a presentare una posizione comune dell’Europa sulla questione irachena, soprattutto a causa dell’atteggiamento dei governi britannico e italiano, ormai inclini a sposare acriticamente le tesi americane sull’inevitabilità dell’uso della forza nei confronti dell’Iraq.
Nonostante questo, qualcosa di importante si è prodotto e potrebbe fare da traino a sviluppi importanti dell’Europa: infatti, pur con notevoli differenze di vedute, la maggioranza degli Stati membri ha rese esplicite tutte le perplessità riguardo ad un’azione militare preventiva, unilaterale, contraria al diritto internazionale. E, in particolare, Gerhard Schroeder e Jacques Chirac hanno più nettamente di altri espresso la necessità di rispettare il diritto internazionale e di esperire tutti gli strumenti alternativi a quello militare per la risoluzione di questa crisi.
Insomma l’Europa non si è accodata e questo, insieme alla posizione ferma di Russia e Cina, ha senz’altro costretto il Presidente americano ad alcuni passaggi imprevisti, tra cui il coinvolgimento delle Nazioni Unite.
Proprio la decisione delle Nazioni Unite, presa in accordo con l’Iraq, di far ripartire per Baghdad gli ispettori incaricati di esaminare i siti dove si presume che il dittatore Saddam Hussein stia costruendo armi non convenzionali, ha decisamente spiazzato George Bush, il quale ora pretende dall’ONU una risoluzione tale da essere inaccettabile per il governo iracheno.
Questo però non può bastare: possiamo permettere che il mondo globalizzato sia governato da un’unica grande potenza? possiamo accontentarci di un’Unione europea a 15 voci in politica estera? possiamo accettare che le Nazioni Unite siano umiliate e piegate dal potere del più forte?
La risposta è in tutti i casi No. Per governare la globalizzazione occorre innanzitutto un’entità di governo sovranazionale in grado di far rispettare il diritto internazionale e le proprie decisioni: l’ONU può e deve svolgere questo ruolo e l’unione europea deve giocare un ruolo forte nella costruzione e nel rafforzamento di questo governo mondiale a partire dal carattere multilaterale.
Ma l’Europa deve poter fare appieno la sua parte.
L’Unione europea allargata ai nuovi Paesi dell’Europa centrale e orientale sarà la più grande entità economica del mondo, il che significa che ha – e avrà ancor più – una responsabilità globale. Occorre che gli stati membri affrontino ora il problema di come dare all’Europa più poteri e più capacità di intervento sulla scena globale. Il luogo per farlo è la Convenzione sul futuro dell’Europa che da marzo di quest’anno sta lavorando per scrivere la Costituzione europea. Il momento è adesso, l’occasione va colta.
L’unione deve poter parlare con una sola voce sulla scena internazionale, quella del responsabile per la Politica estera e di sicurezza che, sulla base delle decisioni prese dai governi degli Stati membri sotto il controllo del Parlamento europeo, ne esprima chiaramente la posizione.
Di più: se è chiaro che gli Stati devono mantenere la competenza primaria in settore così cruciale, è anche indispensabile però che una risicata minoranza (nel caso della crisi irachena, ad esempio, Gran Bretagna e Italia) possa bloccare con un veto qualsiasi azione dell’Unione. Gli altri Stati devono poter agire insieme se rappresentano una maggioranza, sbloccando questo veto che spesso paralizza l’Unione.
Si tratta di scelte complesse ma cruciali che solo ora possono essere compiute e che solo la Convenzione può affrontare.
Ma anche la voce dei cittadini si deve levare perché nella nuova Costituzione d’Europa che si sta scrivendo sia recepito e si concretizzi il messaggio di pace che viene dall’articolo 11 della Costituzione italiana: perché possiamo dire domani, leggendo la Costituzione europea, che “l’Europa ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali”.