giugno-2007-15Le vite degli altri (Das leben der Anderen)
di Florian Henckel Von Donnersmarck
con:Martina Gedeck,Ulrich Muhe,Sebastian Koch,Ulrich Tukur
Drammatico,137 minuti
Germania,2006

 

 

Vincitore del premio Oscar come miglior film straniero,promosso all’unanimità   da critici e pubblico “Le vite degli altri”merita in pieno le lusinghe che sta ricevendo.
Come sempre le opere che sfiorano la perfezione sono caratterizzate da un   equilibrio tra piano espressivo e contenutistico,tra la storia scelta e la scelta di come narrarla,per questo Von Donnersmarck sembra aver centrato  in pieno lo scopo.
La vicenda si compie  all’interno di un ambientazione storica che noi tutti conosciamo;siamo a Berlino est,nel 1984,il muro è ancora in piedi e la Polizia per la Sicurezza di Stato è in piena attività di controllo dell’ordine pubblico e della totale aderenza all’ideale comunista.
In questo clima di tensione costante Gerd Wiesler ,uno dei più efficienti ed apprezzati generali della Stasi, viene incaricato di tenere sotto controllo Georg Dreyman,drammaturgo e intellettuale che fino a quel momento non aveva destato alcun sospetto.
Così la polizia irrompe di nascosto a casa di Georg e piazza microspie ovunque,in modo che l’uomo possa essere ascoltato 24 ore su 24.
Man mano che la trama procede lo spettatore verrà coinvolto all’interno di una sorta di thriller storico-politico,ma anche,perché no,psicologico.
Ci si chiede come mai un personaggio di spicco,promotore   della cultura della DDR da sempre incensurato sia al centro di una così sistematica caccia alle streghe e ben presto i pezzi si intersecano e si scopre che il reale motivo dell’interesse per quest’uomo è il fatto che l’affascinante moglie,l’attrice Christa Maria Sealand esercita un forte fascino sul ministro della cultura,persona dalla quale parte l’ordine di far controllare Dreyman.
Dicevo che si può parlare di componente psicologica a proposito di questo film proprio perché sono i rivolgimenti   della mente umana,insieme agli affetti che ne sono la manifestazione privata,e ai comportamenti che ne rappresentano la riflessione nel sociale,ad essere   messi in campo e a  trovarsi  protagonisti dell’inchiesta.
Da una parte c’è la vita di Georg, spiata,dall’altra quella di Gerd,spiante;a dividerle   solo un paio di cuffie,un cavo e qualche decina di metri di asfalto.
Gerd è infatti situato in una postazione a qualche isolato dalla casa dell’uomo che tiene sotto controllo e passa numerose ore al giorno ad ascoltarne la vita trascrivendone le parole e le azioni   in maniera quasi maniacale, in attesa di qualche sgarro o affermazione poco ortodossa;si tratta di un personaggio molto importante,forse il più importante,quello a cui il regista affida il compito di trasmettere il messaggio forte dell’intera pellicola.
Gerd ci viene mostrato come un uomo solo,senza affetti,che abita in una casa estremamente essenziale e fredda,come freddo,metodico e integerrimo sembra il suo approccio alla vita e al lavoro;ma quando la sua esistenza si intreccia e si confronta con le vite degli altri(in questo caso quella di Georg e Christa)qualcosa avviene nell’antro più recondito della sua coscienza,qualcosa si smuove:qualcosa che lo porterà a passare lentamente dalla parte del suo nemico,qualcosa che lo trasformerà da carnefice ad aiutante segreto della propria vittima.
Questa catarsi  sembra nascere inconsciamente nell’animo di Gerd e Von Donnersmarck riesce a renderla al meglio sullo schermo; scongiurando il rischio di buonismo o di una semplicistica visione manichea della coppia Bene/Male egli ci presenta il lento cambiamento prima di tutto come puro sentimento di empatia verso l’altro da sé,solo successivamente come presa di posizione nei confronti di un sistema profondamente ingiusto ed è significativo che il protagonista di questo riscatto sia proprio un”organo interno” di tale sistema.
Anche la messa in scena è sobria ed equilibrata;a partire dagli interni delle case(o meglio   della casa di Dreyman,che occupa gran parte delle inquadrature del  film)fino ad arrivare ai vestiti,tutto è curato con scrupolosa attenzione per il dettaglio e ricostruito secondo lo stile dell’epoca.
Il segreto che rende il film fruibile con piacere da qualsiasi tipo di spettatore,di qualunque colore politico,( nonostante la collocazione   storica precisa e il tema non semplice da affrontare)è il fatto che il regista sceglie tale motivo  solo come sfondo,preferendo spostare tutto il messaggio pregnante sul piano individuale,piuttosto che pubblico:
“Le persone non cambiano”dice in una scena del film un personaggio;ma la trama sempre più avvincente che si snoda fino al finale inaspettato sembra contraddirlo in pieno:le persone cambiano eccome,anche le peggiori,e se le persone cambiano allora è possibile,forse,che cambi anche ciò che c’è all’esterno.La caduta del muro ne sarà   la prova cinque anni più tardi.

Stefania Cogliani